PINA FOIS

RICORDI DI UN’ALLIEVA

Nel mio ricordo il professor Peppino Catte rimane quello di una personalità fuori del comune. Docente di lettere al Liceo Scientifico Statale di Nuoro ci insegnava anzitutto ad essere noi stessi; la sua modestia, non solo la cultura, era la migliore guida di fronte alla complessità dei problemi: nelle sue parole la sensibilità verso gli altri era parte essenziale di una conoscenza senza retorica, senza enfasi, senza luoghi comuni.

Eravamo pochi allora nel Liceo Scientifico e capitava anche la bella fortuna di una classe di appena una dozzina di alunni con la possibilità di dialogo e discussioni senza formalismi. Ma è soprattutto la sua figura che si impone nella memoria ed ancora oggi, sparsi ovunque, ci ritroviamo nel suo insegnamento. Per noi ragazze, che arrossivamo ad ogni minima emozione, la nostra timidezza giovanile è sempre associata nel ricordo al suo rispettoso silenzio, che ci faceva sentire già “vere signorine”.

Entrava in classe quasi in punta di piedi, con la sua borsa: si sedeva in cattedra, apriva i giornali, poggiava il mento sulla mano… ci guardava, sorrideva con dolcezza, poi iniziava la lezione di italiano o di latino. Ma il discorso spaziava dal campo storico-letterario e filosofico all’economia, al diritto, alla storia dell’arte, agli usi e costumi e per noi tre ore consecutive di lettere volavano. Un mio compagno, ripetente, ha avuto il coraggio di affermare: “Sono stato più fortunato di voi, perché ho goduto del suo sapere per un anno in più”.

Compravamo riviste (ad esempio Il Mulino, Il Ponte), ma era bello soprattutto parlare con lui di tutte le nostre letture, della storia recente, dei fatti del giorno, senza pregiudizi ideologici. Si discuteva di tutto, ma non imponeva mai nulla: aveva un rispetto sacro, non formale, ma sostanziale per le nostre personalità in fase formativa; la sua enorme cultura era fatta anche di paziente bontà, di sapienza nel farci crescere. Il suo sorriso, spesso triste e dolcissimo, ci ha aperto un altro grande orizzonte: la sensibilità verso il dolore altrui.

Era un Liceo Scientifico speciale il nostro, pochi alunni, sede in una casa privata, una sola bidella (zia Caterina), molto materna e un segretario quasi fratello maggiore; a fianco il palazzaccio delle carceri di via Roma col mistero delle vite dei carcerati che ci incuriosiva. Ma eravamo soprattutto orgogliosi di essere alunni di Peppino Catte, di Gonario Murru, dei professori Stochino, Cadalanu, Congeddu-Intini, Ruiu e altri, sotto la presidenza del professor Ramazzotti. Certo dovevamo sostenere interrogazioni tutti i giorni; il nostro corso di studi era quasi a livello universitario, eravamo consapevoli di costituire una piccola comunità fortunata con opportunità culturali non comuni.

Personalmente credo che senza un docente come professor Catte non avrei mai capito cosa vuol dire “dare senza ricevere”.

In apparenza ero una ragazza serena, timida e benvoluta da tutti… ma, da poco catapultata dall’Africa, non mi ero ancora ambientata in Sardegna, in questa meravigliosa terra che è diventata la mia seconda patria.

Dieci anni dopo aver finito il Liceo ho avuto il coraggio di rivolgermi al professor Catte perché la mia vita non aveva più senso e devo a lui la lezione fondamentale che per vivere bisogna lottare ed essere sempre altruisti.

E devo a lui, nel mio piccolo, tutta la stima e l’affetto di cui godo in campo umano e sociale.

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