Discorsi

Qui pubblichiamo una selezione di alcuni brani di discorsi di Peppino Catte nel Consiglio Regionale nell’arco del decennio 1965-1975, tratti dal lavoro di ricostruzione storica di Giacomino Zirottu. Per una maggiore completezza si rimanda alla parte specifica del libro (link). Non appena sarà terminato il lavoro di digitalizzazione, in questa sezione sarà possibile accedere ai testi integrali, organizzati secondo un ordine cronologico e scaricabili in formato pdf.


Seduta del 24 agosto 1965, intervento sui problemi legati all’attuazione del Piano di Rinascita

“[…] Le difficoltà più grandi, soprattutto per quanto riguarda l’agricoltura, derivano dal pericolo che leggi, opere pubbliche ed incentivi possano dimostrarsi incapaci di scuotere l’antico immobilismo, perché, in ultima analisi, si affidano alla iniziativa di un imprenditore che non c’è o opera in condizioni estremamente difficili. Non c’è nelle zone irrigue e non c’è nelle zone asciutte come molto spesso non c’è nel campo industriale”. […] “Certo sarebbe un grave errore pensare di poter risolvere nell’ambito dell’agricoltura, ed in particolare dell’agricoltura asciutta, i problemi dell’occupazione e degli squilibri territoriali. I fatti dimostrano che dappertutto l’occupazione in agricoltura tende a diminuire con lo sviluppo, e non va dimenticato il fatto che, se è vero che nelle zone asciutte e pascolive si hanno prospettive solo o soprattutto per l’allevamento, in Sardegna, tradizionalmente, ai tre quarti del territorio destinato al pascolo corrisponde un quarto della popolazione dedito alla pastorizia. Riteniamo perciò che l’industrializzazione costituisca lo strumento decisivo (non solo per risolvere il problema dell’occupazione, ma anche per promuovere lo sviluppo economico generale, quindi anche dell’agricoltura) perché mutando la composizione della popolazione dà vita ad un mercato interno, perché crea una maggiore disponibilità di capitali e, infine, perché suscita attività complementari con quella dell’agricoltura”.

Ma precisa subito dopo, con parole che hanno l’amarissimo sapore dell’attualità, a 40 anni di distanza, che “non si può dire che l’esperienza del passato conforti del tutto questa nostra opinione… Quali sono, a nostro giudizio, gli aspetti negativi della industrializzazione? Il fatto che potenti gruppi monopolistici sono riusciti a condizionare lo sviluppo industriale e ad assicurarsi gran parte dei contributi della Regione; l’elevatissimo costo di ogni posto di lavoro…; il sorgere di molte industrie scarsamente legate alle risorse ed al mercato locale (anche da questo derivano le difficoltà che poi si traducono in continui ricatti alla Regione per ottenere altri finanziamenti); la scarsa presenza in Sardegna delle aziende statali, dell’I.R.I…; infine l’eccessiva concentrazione in alcune zone delle iniziative industriali, sorte spesso non solo per l’azione di fattori obiettivi, e cioè per l’attrazione dei poli di sviluppo, ma spesso per la forte attrazione, invero più forte che selettiva, dei contributi a fondo perduto e per decisioni in sede bancaria”. 

Seduta consiliare dell’11 marzo 1966 intervento sul Progetto di Piano quinquennale 1965-1969 come relatore di maggioranza

“Per quanto riguarda i problemi della disoccupazione e degli squilibri territoriali e settoriali (che avevano suscitato le maggiori perplessità in occasione del dibattito sul rapporto di attuazione) il progetto del quinquennale contiene già nel testo notevoli garanzie e correttivi e per quanto riguarda le scelte che dovranno essere operate nel corso dell’attuazione, la lezione del Piano e la volontà politica della Giunta di centro-sinistra ci fanno ritenere che si opererà con una maggiore fedeltà allo spirito e alla lettera della 588, la quale vuole che gli sforzi del Piano siano rivolti verso la piena occupazione ed un più equilibrato sviluppo territoriale”.

Occorre, però, denunciare il fatto che il principio dell’aggiuntività rischia di cadere, e ciò mentre i fondi della rinascita si rivelano piuttosto esigui rispetto alle necessità della nostra isola. “Diventa perciò più che mai necessario riaffermare e rafforzare l’atteggiamento rivendicativo da assumere di fronte ai governi centrali”. Tra le rivendicazioni, una ripartizione della spesa pubblica più favorevole al Mezzogiorno e quindi alla Sardegna, tariffe differenziate per l’energia elettrica, perequazione delle retribuzioni dei lavoratori e soprattutto la rapida attuazione delle previste iniziative delle partecipazioni statali localizzate in Sardegna. 

Il relatore si sofferma poi sul problema degli squilibri zonali affermando che “esiste realmente un grave squilibrio nello sviluppo delle varie zone e questo squilibrio ha manifestato la tendenza ad aggravarsi; da questo dato di fatto bisogna partire per ricercare le cause, per trovare la soluzione, la giusta e possibile soluzione… Non condanniamo tout court la politica dei poli di sviluppo, perché non crediamo che essa si riduca ad una diabolica invenzione ai danni delle zone meno fortunate… Quella che non si può accettare è l’esasperazione della politica dei poli di sviluppo e quindi l’accettazione di una naturale tendenza alla concentrazione territoriale… Ma è stata poi veramente e solamente una naturale tendenza?… La maggior parte delle scelte relative ai settori e alla localizzazione delle iniziative industriali sono state fatte in sede bancaria… E’ mancata una sufficiente vigilanza e volontà politica per impedire l’aggravarsi degli squilibri territoriali. Per questo oggi ci troviamo in una situazione che rischia di diventare pericolosa, con un malcontento diffuso ed una protesta in gran parte giustificata, alla quale bisogna dare uno sbocco politico… Io ritengo che il Piano quinquennale costituisca, nelle mani di chi presiede alla sua attuazione, uno strumento efficiente per correggere le vecchie strutture…Oggi si impone con immediatezza anche questa politica per sanare una situazione che rischia di diventare insostenibile, per ristabilire la fiducia nelle istituzioni regionali che appare gravemente compromessa; una politica di pronto intervento, per frenare l’emigrazione e cioè la perdita del capitale umano (capitale che, a voler prescindere da ogni considerazione di carattere umano e sociale, rappresenta una enorme perdita di ricchezza, del bene più prezioso di cui la Sardegna dispone in questo momento). Si tratta, però, soprattutto di avviare una politica di investimenti produttivi nei settori che maggiormente interessano le zone interne più depresse. Indichiamo gli interventi nei comprensori irrigui delle zone interne e soprattutto nel settore dell’allevamento… Occorre sanare squilibri che tendono ogni giorno di più ad aggravarsi, perché in questo settore gli investimenti sono altamente produttivi e realizzano rapidi incrementi di reddito che favorirebbero la dinamica dello sviluppo economico”. 

Io non credo – conclude Catte, opponendosi a ipotesi di rinvio o di bocciatura del piano – che la giusta protesta delle zone interne meno fortunate debba avere come sbocco il rigetto e quindi il rinvio del quinquennale. Di un tale rinvio soprattutto le zone più povere pagherebbero il fio”. E cita le rivendicazioni contenute nell’ordine del giorno votato dal Consiglio Comunale di Nuoro il 7 marzo, che a suo parere hanno trovato espressione nel quinquennale. Cinque giorni dopo ci fu la crisi del governo regionale, risolta con una giunta quadripartita guidata dal democristiano on. Paolo Dettori.

Seduta del 6 agosto 1969 dedicata alla discussione sulle dichiarazioni programmatiche del Presidente della Giunta Del Rio

Dopo una importante premessa di natura squisitamente politica (già riportata in altra parte del presente lavoro), in cui avanza l’ipotesi di un graduale superamento del quadro di centro-sinistra in termini di apertura ad altre forze della sinistra (ma il riferimento esplicito è al PCI), il consigliere socialista si sofferma sui problemi dell’economia sarda, affermando che il decollo è legato anzitutto alla possibilità di portare avanti l’industrializzazione dell’Isola, ma che “si pone la necessità di operare e precisare meglio alcune scelte di fondo, per correggere la tendenza allo sviluppo unilaterale dell’industria petrolchimica di base, senza che ancora si vedano sorgere industrie manifatturiere a valle del processo produttivo”.

Difende la scelta di Ottana cui “sono affidate le speranze di una rinascita delle zone interne dell’Isola, al fine di mettere in movimento una società gravata da una inerzia secolare e da una scarsa capacità di evoluzione verso forme più progredite”.

Ed ancora: “L’attuazione di un piano della pastorizia può rappresentare un valido contributo per questa rinascita… ma sarebbe un grave errore pensare che l’attuazione del piano della pastorizia possa, da sola, salvare l’economia delle zone interne”.

Sul tema dell’industrializzazione interviene ancora due mesi dopo, il 9 ottobre, per illustrare l’interpellanza presentata dal gruppo socialista in Consiglio Regionale, con lo scopo di portare ad una chiarificazione e ad una migliore informazione in merito, appunto, ai programmi di quel settore da realizzare nella Sardegna centrale. Osserva che la costituzione di un comitato promotore per il consorzio industriale ha provocato animati dibattiti, ma che occorre non “alimentare in alcun modo facili speranze o contribuire a suscitare gare campanilistiche tra i vari Comuni, le cui popolazioni potrebbero essere indotte a credere che 7.000 posti di lavoro di cui si è data notizia sono ormai quasi a portata di mano”.

Ed aggiunge che “le prospettive e l’industrializzazione non sono un fuoco d’artificio elettoralistico destinato a dileguare ormai nel nulla”, in quanto c’è un impegno politico assunto dal Governo, a seguito di una lotta rivendicativa condotta dalle popolazioni dell’interno e, dopo una lunga trattativa, dal Governo regionale. Tale impegno si è tradotto in alcuni atti importanti, come il riconoscimento del nucleo industriale di Ottana e le decisioni del CIPE e delle Partecipazioni Statali. “Ma l’esperienza – afferma Catte – ci insegna, purtroppo, che il tempo che passa tra impegno politico e l’inizio di attuazione di un programma può essere molto lungo”. Si porranno problemi di coordinamento che non faciliteranno le cose sia in fase di progettazione, sia in fase di realizzazione. E i tempi tecnici potrebbero allungarsi per la scarsa propensione delle Partecipazioni Statali ad impegnarsi in Sardegna.

Un altro elemento di perplessità, a parere di Catte e dei socialisti, riguarda il modo in cui le iniziative studiate per incarico del CIPE si inseriranno nel disegno generale dello sviluppo della industrializzazione in Sardegna. C’è il rischio che le Partecipazioni Statali subordinino le proprie scelte alle esigenze dei monopoli che intendono confinare l’intervento pubblico nell’apprestamento di opere infrastrutturali o nella creazione di industrie di base. “Vorremmo avere la garanzia che non vi saranno soltanto dei doppioni di altre industrie di base già esistenti, ma che l’ENI e gli altri gruppi imprenditoriali, coordinando le loro iniziative, completeranno i cicli produttivi, dando vita ad industrie manifatturiere localizzate nella nostra Isola”.

Occorre, infatti, tener conto che “l’industria sarda finora, come del resto avviene nel Mezzogiorno, produce soprattutto materie prime o semi-lavorate per industrie che si collocano altrove. In queste condizioni è difficile che si possa creare in Sardegna un meccanismo autonomo di sviluppo e di accumulazione”. Perciò il piano del CIPE dovrebbe prefiggersi lo scopo non di creare altre industrie di base, ma soprattutto di completare i cicli produttivi, con industrie manifatturiere.

Per quanto concerne, in generale, gli interventi da localizzare nel Mezzogiorno, “il Governo regionale deve fare i suoi passi perché non si ripetano le esperienze amare del passato, perché la nostra Isola non sia dimenticata, perché nelle scelte, per quanto riguarda settori ed indirizzi, non si mortifichino gli indirizzi la cui validità è stata affermata nella programmazione regionale”.

Occorre, secondo Catte, di fronte a decisioni che hanno un’importanza fondamentale per l’avvenire della Sardegna, aprire un dibattito più largo che coinvolga tutti i cittadini e tutta l’opinione pubblica nelle zone centrali dell’Isola.

“Industrializzazione e piano delle zone interne rappresentano certamente due premesse importanti per il futuro sviluppo, due conquiste della politica contestativa. Ma il piano per le zone interne potrà anche modificare, e non sarebbe poco, le strutture di una economia povera ed arretrata, soprattutto se conteremo non soltanto sull’entità dei fondi, che è notevole, ma anche sulla qualità degli interventi per modificare certe strutture e per dare un colpo decisivo alla proprietà assenteista che rappresenta appunto, ormai, un peso morto, la causa prima del ritardo. Però. anche se noi avremo nell’economia pastorale un rinnovamento, potremo riuscire ad assicurare un reddito maggiore per addetto, ma non risolveremo il problema dell’occupazione che rimane sempre il problema più grave e più urgente… Occorre valorizzare l’attività pastorale e l’attività agricola perché le industrie domani non sorgano nel deserto, perché si creino le condizioni di una saldatura tra industria ed agricoltura, perché questo rappresenta indubbiamente una delle vie più importanti per un risorgimento della nostra Isola, delle zone centrali; ma è certo che lo sviluppo economico si affida soprattutto al sorgere di un meccanismo industriale e l’industria, in tutte le economie, è il settore portante: è l’industria che crea dei nuovi posti di lavoro”. 

Seduta consiliare del 21 luglio 1971, con all’o.d.g. la proposta di legge e disegno di legge “Norme per l’attuazione di un piano di interventi nelle zone interne a prevalente economia pastorale, di cui alla legge 30 ottobre 1969, n° 811”

Catte osserva che “l’attuale stesura del disegno di legge risente di una certa fretta e i socialisti esprimono delle riserve per tutto ciò che di macchinoso permane in esso. Occorrerebbe un piano stralcio della Giunta, per contemperare rapidità e approfondimento delle questioni. Ci interessa, infatti, un piano che non comprometta per tanti anni le condizioni di sviluppo in cui la rinascita delle zone interne può effettuarsi, rispettando le esigenze della globalità, della aggiuntività, dei piani zonali, del demanio regionale, del ruolo che dovrà assolvere l’Ente di sviluppo nell’attuazione del Piano”. Questo non può essere settoriale, ma deve essere globale, perché “il problema delle zone interne non è soltanto un problema della pastorizia, non è soltanto un problema dell’agricoltura, è un problema dello sviluppo generale di tutta l’economia, delle condizioni di vita delle zone interne”.

Più avanti il consigliere socialista chiarisce tale concetto affermando che “un piano che si risolvesse soltanto in un piano per la pastorizia sarebbe contro la lettera e contro lo spirito della legge 811, che non parla di piano per la pastorizia, parla di piano per le zone interne, che è cosa ben diversa; sarebbe contro gli interessi, soprattutto contro le aspettative delle popolazioni delle zone interne… L’impegno della Giunta non può essere soltanto un impegno rivolto ai problemi della pastorizia, ma deve essere rivolto a tutte le risorse delle zone interne, a tutto ciò che può consentire la creazione di un meccanismo di sviluppo in queste zone… Il problema delle zone interne è, prima di tutto, un problema di occupazione, e il problema dell’occupazione è legato allo sviluppo ed alla valorizzazione di tutte le risorse… Un piano per le zone interne non può risolversi, quindi, in un elenco di interventi settoriali, cosa che invece le due proposte di legge ci hanno presentato: tutta una elencazione di interventi ma non in maniera pianificata”.

Ma poiché la predisposizione di un piano globale richiede tempo – afferma Catte – ed abbiamo già atteso due anni, diciamo che si può fare intanto un piano stralcio immediato per cominciare a spendere i fondi nel tempo più breve.

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