PEPPINO CATTE: L’UOMO E IL POLITICO
Seminario promosso dall’Associazione degli ex Consiglieri Regionali della Sardegna a Cagliari il 26 gennaio 2007 (qui gli Atti in formato pdf).
All’incontro, coordinato dalla Presidente dell’Associazione Mariarosa Cardia, sono intervenuti Franco Mannoni, Giovanna Cerina, Pietro Tandeddu, Alessandro Ghinami, Maria Teresa Pinna Catte e Salvatore Piras.
L’introduzione di Mariarosa Cardia
Vorrei rivolgere un saluto particolarmente affettuoso a Maria Teresa e Pietro Catte.
Ringrazio i colleghi che sono presenti accanto a me: la prof. Giovanna Cerina, l’on. Alessandro Ghinami, l’on. Francesco Mannoni, il dott. Pietro Tandeddu, che ricorderanno con noi la figura e l’opera di Giuseppe Catte. Oggi, a 30 anni dalla morte improvvisa e prematura, vogliamo parlare di questo caro e valoroso collega, ricordare i tratti umani e politici della sua intensa e molteplice attività.
Nato a Oliena nel 1916, dopo gli studi superiori a Nuoro, frequentò l’Università di Firenze dove si laureò in Lettere. Fu docente di Italiano e Latino nei licei di Nuoro tra gli anni ’40 e i primi anni ’60, un insegnante dalla vasta cultura umanistica, affascinante e amatissimo dai suoi allievi. Impegnato fin dalla giovinezza nelle formazioni democratiche ricostituitesi alla caduta del fascismo, militò sempre nelle file della sinistra: prima nel Pci, all’interno di quell’attivo nucleo di intellettuali e operai raccolti a Nuoro intorno a Antonio Dore, fino al 1956, all’invasione dell’Ungheria, quando scelse di lasciare il partito e di aderire al Partito socialista, collocandosi su posizioni autonomistiche e ricoprendo l’incarico di segretario regionale. Eletto nelle file del Psi al Consiglio regionale nel 1965 (V legislatura), fu riconfermato nel 1969 e nel 1974. Fu assessore all’Agricoltura e Foreste dall’11 marzo 1967 al 14 giugno 1969 e dall’1 agosto 1974 al 22 novembre 1975.
Alcuni anni fa abbiamo organizzato con l’Associazione degli ex parlamentari un incontro su Nino Carrus. Due personalità diverse, certo, ma con molti tratti in comune: le doti di equilibrio, di saggezza, di senso pratico e di responsabilità, innanzitutto. Entrambi erano uomini alieni dal clamore, dalla superficialità, dalla demagogia, dalla retorica; erano dotati di un’intelligenza generosa e mossi dalla concezione della politica come servizio. E, soprattutto, li accomunava la convivenza, in loro, di due vocazioni: quella dello studioso e quella del politico. Il contributo più fertile allo sviluppo della nostra terra e del nostro popolo dal secondo dopoguerra lo dobbiamo proprio a uomini che hanno saputo coniugare felicemente l’impegno della riflessione culturale con l’impegno dell’azione politica. Penso, oltre che a Carrus, a Paolo Dettori, e, nel campo della sinistra, a Renzo Laconi, a Sebastiano Dessanay, a Umberto Cardia. Personalità che hanno saputo radicare la politica nell’analisi della realtà che si voleva migliorare. Di Catte Antonio Giolitti ha detto che egli ha rappresentato l’incarnazione esemplare dell’impegno socialista per le riforme, basato su un solido supporto culturale e sulla solidarietà.
Altra dote preziosa è stata la tenacia, che ha sorretto un lavoro infaticabile per cercare il consenso indispensabile a realizzare il proprio progetto, che nel caso di Peppino Catte è stata la rivoluzione nel mondo agro-pastorale. Un mondo che conosceva, date le sue origini olianesi. I problemi contadini e pastorali della sua comunità d’origine l’avevano portato a propugnare un modo nuovo di fare agricoltura e allevamento, e intorno a questo ambizioso obbiettivo si è dipanato il suo impegno più maturo, sì che la L.R. n. 44 del 1976 sulla riforma dell’assetto agro-pastorale costituisce la testimonianza più impegnativa e sofferta della sua attività politica.
Quella convinta volontà di trasformare la pastorizia da moderna in stanziale – con l’ammodernamento aziendale, la creazione di infrastrutture e del monte pascoli, il rimboschimento – era sorretta dalla volontà di combattere la delinquenza, che devastava le zone interne dell’isola, spezzandone il legame con l’arretratezza e la precarietà della vita pastorale. Per farlo bisognava trasformare il pastore da guardiano di pecore a moderno imprenditore, bisognava popolare le campagne, bisognava superare la proprietà assenteista e sviluppare la cooperazione, bisognava avviare una politica di investimenti produttivi nelle zone interne, una politica di sviluppo e di riequilibrio basata sulla pianificazione degli interventi. Questo avrebbe reso possibile i processi di filiera, l’innovazione e la qualificazione delle produzioni.
Ma le sue matrici culturali e la sua sensibilità umana lo inducevano anche a non fermarsi alle proposte e a ricercare i metodi giusti e le forme democratiche per realizzare un progetto così innovativo. Qui sta un altro aspetto della sua capacità politica non comune: l’importanza attribuita ai processi di condivisione, al dialogo tra le istituzioni e la società civile, all’egemonia basata sul confronto e sul convincimento, alla politica come attività educativa, come processo circolare, non gerarchico piramidale.
Necessità, questa, tanto più importante nelle fasi critiche che investono il mondo politico e civile. Catte è stato partecipe e protagonista di un periodo storico tra i più controversi e dibattuti, quali sono stati i primi venticinque anni di vita autonomistica, di una temperie politica regionale ricca di fermenti, di cambiamenti, di un’intensa stagione che ha conosciuto speranze ed entusiasmi ma anche disillusioni amare. Ha cercato di risalire alle cause del disagio che già dalla fine degli anni ’60 aveva investito la vita politica sarda, si era espresso nella crisi dei partiti ed era divenuto crisi delle istituzioni autonomistiche. E ha sottolineato con forza la necessità di formare una nuova classe dirigente non subalterna, capace di superare il particolarismo, e l’esigenza di avviare una diversa dialettica tra le forze autonomistiche, di cercare le convergenze necessarie dentro e fuori il Consiglio regionale per creare un vasto fronte di lotta che potenziasse e ampliasse i confini dell’autonomia.
Voglio concludere soffermandomi sull’uomo, un uomo schivo, sensibile, che ho conosciuto nella VII legislatura. Ne ricordo la competenza e la lucidità negli interventi e nelle proposte, ne ricordo la serietà e la forte componente etica, ne ricordo soprattutto il sorriso triste e dolce, che allora mi colpì molto e che non ho mai dimenticato.
ATTI DEL SEMINARIO (pdf)