QUELLA LUNGA MARCIA INSIEME SOGNANDO L’UNITÀ DELLA SINISTRA
L’invito a ricordare Peppino Catte nel decimo anniversario della morte, che mi è stato rivolto dal circolo di Nuoro intestato al suo nome, non solo mi ha lusingato ma mi ha commosso. E mi sembra di vederlo ancora vivo e attivo, serio e sereno, sempre impegnato ma non agitato.
Ci eravamo conosciuti nel 1956 – or sono quasi trent’anni – in occasione di una decisione molto impegnativa e sofferta, che prendemmo allora quasi contemporaneamente: le dimissioni dal Pci, dopo il famoso «rapporto Krusciov» e l’intervento sovietico in Ungheria. Fu lui a cercarmi, dalla lontana Nuoro; aveva raccolto il mio messaggio e ne ebbi grande conforto e incoraggiamento, in circostanze molto difficili. Sapevo chi era, perché me ne aveva parlato Gonario Pinna, che già prima avevo avuto occasione di conoscere. Intraprendemmo, allora, quella che potrei chiamare una lunga, anzi lunghissima marcia, verso un traguardo ahimè ancora lontano: quello di una sinistra saldamente ancorata alla scelta di campo democratica e occidentale e fortemente impegnata alla realizzazione di un programma di riforme.
Animati da tali propositi entrammo quasi contemporaneamente nelle file del Psi, su una posizione nettamente e fermamente autonomista, ma impegnata a promuovere l’unità della sinistra. Confidavamo, da una parte, nella volontà e capacità del Psi di condurre l’impresa, certamente lunga e difficile, di costruzione di quella unità, e dall’altra nel processo, che prima o poi avrebbe dovuto iniziarsi, di revisione e trasformazione del Pci. A distanza di quasi trent’anni non arrivo a dire che quella fiducia, da una parte e dall’altra, si è dimostrata una illusione, ma poco ci manca. Eppure, vale ancor oggi il motto «non mollare». Peppino Catte ce ne ha dato l’esempio.
Lui certo non mollava. È morto, si potrebbe dire, in combattimento: durante un’assemblea di socialisti, dopo aver partecipato a una grande assemblea di pastori per illustrare il disegno di legge regionale di riforma agro-pastorale, unitamente al 2° piano straordinario per la rinascita economica e sociale della Sardegna, approvato dal parlamento italiano. Già nei riguardi del 1° piano di rinascita, all’inizio degli anni ’60, egli si era impegnato con grande passione e assiduità per migliorarne l’efficacia assicurando una ripartizione equilibrata delle risorse tra interventi nelle aree privilegiate e in quelle sfavorite, specialmente nelle zone interne. Ricordo bene quella sua passione e quel suo impegno, che si inquadrava in una visione organica di programmazione economica, perché io ero allora ministro del Bilancio nel primo governo di centro-sinistra ed egli mi aveva più volte rappresentato le esigenze della Sardegna e al tempo stesso mi aveva incoraggiato nel tentativo (che purtroppo oggi sembra passato di moda) di impiantare una seria politica di riforme e di programmazione.
Qualche anno dopo, nel 1968, ci trovammo fianco a fianco a sostenere, nel corso del congresso del Psi, la mozione che insieme con gli altri io avevo presentato con il titolo abbastanza significativo di “impegno socialista”. Intendo dire che stava a sottolineare, quel titolo, la volontà di contrastare la tendenza che si manifestava, nel partito allora «unificato», di tirare i remi in barca, di rinunciare alla difficile impresa di caratterizzare la partecipazione socialista al governo con un forte impegno per le riforme e di conciliare così l’esercizio necessario di responsabilità di governo con la prospettiva di un’alternativa democratica di sinistra alla quale un partito che si chiama socialista non può rinunciare senza cancellare la propria identità.
Dell’impegno socialista per le riforme Peppino Catte è stato, direi, una incarnazione esemplare: non soltanto operando validamente, con grande serietà e competenza, a livello di attività legislativa, riguardo al rifinanziamento del piano di rinascita e alle norme sulla riforma del settore agro-pastorale, ma anche percorrendo instancabilmente tutte le zone dell’isola per discutere con i pastori, principali protagonisti di una possibile riforma che doveva trasformare la pastorizia nomade in pastorizia stanziale, attraverso l’ammodernamento aziendale, la creazione di adeguate infrastrutture, la costituzione del monte pascoli e il rimboschimento delle aree improduttive.
Ben merita, perciò, una figura come quella di Peppino Catte di dare il suo nome a un circolo culturale di indirizzo socialista, poichè egli ha dimostrato, con la sua opera, che un serio impegno socialista per le riforme ha bisogno di un solido supporto culturale e che la cultura per non rimanere privilegio di una élite deve associarsi alla solidarietà umana che ispira il pensiero e l’azione socialista.
Origini torinesi, nel periodo della sua giovinezza Antonio Giolitti fu partigiano e militante comunista.
Tra i fondatori delle brigate “Garibaldi”, diede un contributo fondamentale alla lotta antifascista in Piemonte. Nominato Sottosegretario agli Esteri durante il governo guidato da Ferruccio Parri, Giolitti fu eletto prima all’Assemblea Costituente e poi alla Camera dei Deputati dal 1946 al 1953.
In seguito ai fatti di Ungheria del 1956, abbandonò il PCI per aderire al PSI, con cui fu eletto deputato dal 1958 al 1985. Più volte Ministro del Bilancio tra il 1963 e il 1974, dal 1979 al 1984 fu nominato Commissario presso la Comunità Economica Europea.