ANTONIO GIOLITTI

QUELLA LUNGA MARCIA INSIEME SOGNANDO L’UNITÀ DELLA SINISTRA

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L’invito a ricordare Pep­pino Catte nel decimo anni­versario della morte, che mi è stato rivolto dal circolo di Nuoro intestato al suo no­me, non solo mi ha lusinga­to ma mi ha commosso. E mi sembra di vederlo ancora vivo e attivo, serio e sereno, sempre im­pegnato ma non agitato.

Ci eravamo conosciuti nel 1956 – or sono quasi trent’anni – in occasione di una decisione molto impegnativa e sofferta, che pren­demmo allora quasi con­temporaneamente: le dimissioni dal Pci, dopo il famoso «rapporto Krusciov» e l’in­tervento sovietico in Unghe­ria. Fu lui a cercarmi, dalla lontana Nuoro; aveva rac­colto il mio messaggio e ne ebbi grande conforto e inco­raggiamento, in circostanze molto difficili. Sapevo chi e­ra, perché me ne aveva par­lato Gonario Pinna, che già prima avevo avuto occasio­ne di conoscere. Intrapren­demmo, allora, quella che potrei chiamare una lunga, anzi lunghissima marcia, verso un traguardo ahimè ancora lontano: quello di una sinistra saldamente ancorata alla scelta di campo democratica e occidentale e fortemente impegnata alla realizzazione di un pro­gramma di riforme.

Animati da tali propositi entrammo quasi contempo­raneamente nelle file del Psi, su una posizione netta­mente e fermamente auto­nomista, ma impegnata a promuovere l’unità della si­nistra. Confidavamo, da una parte, nella volontà e capa­cità del Psi di condurre l’impresa, certamente lunga e difficile, di costruzione di quella unità, e dall’altra nel processo, che prima o poi avrebbe dovuto iniziarsi, di revisione e trasformazione del Pci. A distanza di quasi trent’anni non arrivo a dire che quella fiducia, da una parte e dall’altra, si è dimostrata una illusione, ma poco ci manca. Eppure, vale ancor oggi il motto «non mollare». Peppino Catte ce ne ha dato l’esempio.

Lui certo non mollava. È morto, si potrebbe dire, in combattimento: durante un’assemblea di socialisti, dopo aver partecipato a una grande assemblea di pastori per illustrare il disegno di legge regionale di riforma agro-pastorale, unitamente al 2° piano straordinario per la rinascita economica e sociale della Sardegna, approvato dal parlamento italiano. Già nei riguardi del 1° piano di rinascita, all’inizio degli anni ’60, egli si era impegnato con grande passione e assiduità per migliorarne l’efficacia assicurando una ripartizione equilibrata delle risorse tra interventi nelle aree privilegiate e in quelle sfavorite, specialmente nelle zone interne. ­Ricordo bene quella sua passione e quel suo impegno, che si inquadrava in una visione organica di programmazione economica, perché io ero allora ministro del Bilancio nel primo ­governo di centro-sinistra ed egli mi aveva più volte rappresentato le esigenze della Sardegna e al tempo ­stesso mi aveva incoraggiato nel tentativo (che pur­troppo oggi sembra passato di moda) di impiantare una seria politica di riforme e di programmazione.

Qualche anno dopo, nel 1968, ci trovammo fianco a fianco a sostenere, nel corso del congresso del Psi, la mozione che insieme con gli altri io avevo presentato con il titolo abbastanza significativo di “impegno socialista”. Intendo dire che stava a sottolineare, quel titolo, la volontà di contrastare la tendenza che si manifestava, nel partito allora «unifica­to», di tirare i remi in barca, di rinunciare alla difficile impresa di caratterizzare la partecipazione socialista al governo con un forte impe­gno per le riforme e di con­ciliare così l’esercizio neces­sario di responsabilità di go­verno con la prospettiva di un’alternativa democratica di sinistra alla quale un partito che si chiama socia­lista non può rinunciare senza cancellare la propria identità.

Dell’impegno socialista per le riforme Peppino Cat­te è stato, direi, una incarna­zione esemplare: non sol­tanto operando validamente, con grande serietà e compe­tenza, a livello di attività le­gislativa, riguardo al rifinan­ziamento del piano di rina­scita e alle norme sulla ri­forma del settore agro-pa­storale, ma anche percor­rendo instancabilmente tut­te le zone dell’isola per di­scutere con i pastori, princi­pali protagonisti di una pos­sibile riforma che doveva trasformare la pastorizia no­made in pastorizia stanziale, attraverso l’ammoderna­mento aziendale, la creazio­ne di adeguate infrastruttu­re, la costituzione del monte pascoli e il rimboschimento delle aree improduttive.

Ben merita, perciò, una fi­gura come quella di Peppi­no Catte di dare il suo no­me a un circolo culturale di indirizzo socialista, poichè e­gli ha dimostrato, con la sua opera, che un serio impegno socialista per le riforme ha bisogno di un solido suppor­to culturale e che la cultura per non rimanere privilegio di una élite deve associarsi alla solidarietà umana che i­spira il pensiero e l’azione socialista.


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Origini torinesi, nel periodo della sua giovinezza Antonio Giolitti fu partigiano e militante comunista.

Tra i fondatori delle brigate “Garibaldi”, diede un contributo fondamentale alla lotta antifascista in Piemonte. Nominato Sottosegretario agli Esteri durante il governo guidato da Ferruccio Parri, Giolitti fu eletto prima all’Assemblea Costituente e poi alla Camera dei Deputati dal 1946 al 1953.

In seguito ai fatti di Ungheria del 1956, abbandonò il PCI per aderire al PSI, con cui fu eletto deputato dal 1958 al 1985. Più volte Ministro del Bilancio tra il 1963 e il 1974, dal 1979 al 1984 fu nominato Commissario presso la Comunità Economica Europea.

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